Il concetto di azione in ‘Il sacrificio come significato del mondo’ di Antonio Aliotta

In questa comunicazione, redatta in occasione del convegno La metafisica in Italia tra le due guerre. Dall’idealismo allo spiritualismo? organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana e dall’Università degli Studi “Ca’ Foscari” di Venezia in collaborazione con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, si traccia un rapido schizzo del confronto che vide contrapposto Antonio Aliotta e il suo allievo Renato Lazzarini.
Nel grande saggio del 1936 Il male nel pensiero moderno. Le due vie della liberazione Lazzarini sosteneva che il pensiero moderno, non dissimile in questo da quello dei Greci, ha in sé un motivo irrazionalistico che lo mina alla base e che consiste nel ritenere che il male sia elemento essenziale nella struttura del rapporto tra universale e particolare. Male sarebbe, secondo Lazzarini, per quasi tutti i filosofi il limite che l’universale istituisce, o che trova, e che sempre deve risolvere per affermarsi come universale. Insomma è proprio il fatto che la metafisica si strutturi come rapporto dell’universale col particolare e pretenda questo rapporto come assoluto che appariva agli occhi di Lazzarini come una situazione concettualmente insostenibile.
Il ragionamento di Lazzarini venne accusato da Aliotta come una critica che colpiva i presupposti del suo stesso filosofare e per questo in Il sacrificio come significato del mondo (1947, ma composto negli anni precedenti) tentò di parare il colpo assestatogli dall’allievo non senza, però, mostrare i limiti nei quali il suo pensiero restava confinato.