Recensione a P. Di Giovanni, Filosofia e psicologia nel positivismo italiano, Laterza, Roma-Bari 2006

Pubblicato per la prima volta nel 2003, nel giro un triennio il volume di Piero Di Giovanni è giunto già alla sua quarta edizione. Un successo dovuto con molta probabilità, oltre che all’utilità del testo, alle questioni desumibili dallo sviluppo dell’argomento trattato. Sono le vecchie, reiterate e quasi ossessive problematiche delle relazioni epistemologiche tra metodologie naturalistiche e spiritualistiche. Anche se alcune tendenze degli anni passati hanno tentato di mettere tra parentesi tali discussioni, il nodo continua a stringere, e il positivismo, con la tracotanza di questo factum che chiede riconoscimento, continua quanto meno a pungolare il pensiero filosofico contemporaneo. Il libro di Di Giovanni si presenta come una rassegna curata e approfondita delle opere e delle teorie delle figure di intellettuali che più eminentemente hanno segnato la storia della cultura italiana, fregiandosi del sigillo del “fatto”, del positivo, del keine Metaphysik mehr. L’autore concede spazio non soltanto ai più noti esponenti del positivismo italiano, da Pasquale Villari a Roberto Ardigò, ma analizza anche il pensiero di autori meno noti come Simone Corleo, Cosmo Guastella o Giuseppe Pitrè. Anziché addentrarsi in un’analisi della relazione problematica tra scienze psicologiche e questioni filosofiche, magari attraversando un ambiente teorico di natura epistemologica, Di Giovanni imbocca la via della presentazione degli autori studiati, in prima istanza attraverso il loro confronto con Vico, e secondariamente in base al reciproco riconoscimento e riferimento nelle questioni scientifiche trattate. Su questo rinvio costante a Vico occorre soffermarsi. In effetti il filosofo napoletano è autore complesso e di grande profondità, notoriamente evocato nella tradizione del neo-idealismo italiano, con particolare enfasi da Benedetto Croce, non solo per lo sviluppo dell’ estetica, ma anche per la sua concezione, per certi spiritualistica e pre-hegeliana, della storia dell’umanità. Tuttavia, è altrettanto vero che il factum che si converte col verum , e il ricorso alla “psicologia” nella spiegazione degli eventi della storia, hanno attratto non poco l’interesse dei positivisti italiani, i quali fanno senza esitazione di Vico la loro bandiera (anche se talvolta in maniera critica, come nel caso del Romagnosi). Così scrive Di Giovanni: «è vero che Vico è stato assunto a modello di altre correnti di pensiero, come nel caso dello stesso idealismo, ma è altrettanto vero che la prima rilettura critica e sistematica in Italia è avvenuta ad opera di quanti possono essere considerati i promotori di un modo di pensare che si colloca nell’alveo della filosofia positiva» (p. 6).