Recensione a T. Campanella, Lettere, Olschki, 2010

Nell’estate dell’anno 1638, ormai al tramonto della sua vita, Campanella raccolse in poche
righe rivolte al Granduca Ferdinando II De’ Medici le linee di un destino segnato dalle
persecuzioni e dalla fedeltà alla propria missione: «Il secolo futuro giudicarà di noi, perch’il
presente sempre crucifige i suoi benefattori; ma poi risuscitano al terzo giorno, o l’terzo secolo».
A un passo ormai dal compiersi del quarto secolo dalla morte, la profezia di Campanella è sul
punto di rivelarsi vana, visto che il suo pensiero rimane sostanzialmente un monstrum nei manuali
di filosofia, e la sua opera più celebre resta quella Città del Sole che nell’intenzione dell’autore non
ambiva di certo al rango di opera capitale. Eppure nessun pensatore esprime in maniera più
completa l’enigma del Rinascimento, la testa bifronte di un’epoca capace di guardare allo stesso
tempo verso l’alchimia e la fondazione di una scienza quantitativa.